Recensione – L’eresia liberale di Alessandro Sallusti
- Francesco Carbone

- 13 minuti fa
- Tempo di lettura: 2 min
Un libro ricevuto per i miei 40 anni, da leggere con gratitudine e senso critico

Ci sono libri che arrivano nel momento giusto. L’eresia liberale di Alessandro Sallusti è uno di questi. L’ho ricevuto in regalo per i miei quarant’anni da due cari amici, Ausilia e Michele: un gesto semplice, ma carico di significato, perché un libro non si regala mai per caso. E questo, in particolare, è un invito alla riflessione politica più profonda.
Sallusti non scrive per compiacere: provoca, incide, costringe chi legge ad abbandonare la comfort zone di un dibattito pubblico spesso anestetizzato, nel quale le parole “liberale”, “Stato”, “autorità” e “libertà” vengono ripetute come slogan, ma raramente comprese come categorie politiche. Il suo è un pamphlet che si legge in poche ore, ma che resta addosso per giorni.
L’eresia come atto politico
La tesi centrale del libro è chiara: il vero liberalismo in Italia è diventato un’eresia. Non contro lo Stato, ma contro un certo statalismo invadente che ha trasformato i cittadini in sudditi passivi. Sallusti denuncia il paradosso italiano: a parole tutti si dichiarano liberali, nei fatti quasi nessuno lo è.
È qui che il testo mostra la sua forza. Non è un manifesto economico né un trattato di filosofia politica, ma una riflessione schietta, spesso spietata, sulla nostra incapacità di liberarci dalle gabbie che ci siamo costruiti da soli: burocrazia, lentezza decisionale, paura della responsabilità, attaccamento a un welfare paternalista che tutela tutto e nessuno.
Leggendo, mi è tornato alla mente un principio che ripeto spesso nelle mie analisi politiche: non basta dirsi riformatori, bisogna esserlo. E questo richiede coraggio, visione e soprattutto un’idea chiara di Italia.

Il merito della semplicità
Sallusti usa un linguaggio diretto, quasi giornalistico (com'è naturale), ma la sua linearità è un pregio: entra nel cuore delle questioni senza fare accademia. Il libro non pretende di riscrivere la teoria liberale, ma di riportarla sulla terra, dentro le nostre città, nella vita delle imprese, nella quotidianità delle famiglie.
È un testo che ti costringe a chiederti:Quante volte, in nome della protezione, abbiamo lasciato che lo Stato limitasse la nostra libertà?E quante volte abbiamo confuso la sicurezza con il controllo, l’uguaglianza con l’appiattimento, la solidarietà con l’assistenzialismo senza futuro?
Una recensione personale e politica
Per me, che da sempre considero la politica come un atto di responsabilità e di concretezza, L’eresia liberale è un libro che apre un varco: ti invita a capire dove finisce la fisiologia dello Stato e dove inizia la sua patologia.
Non condivido tutto, e questo è il bello. Ma trovo nelle sue pagine una provocazione sana: rimettere al centro l’uomo, prima ancora dello Stato; la responsabilità, prima della delega; il merito, prima della rivendicazione.
È un libro che gli amici regalano quando ti conoscono bene, perché sanno che non cerchi conferme, ma sfide.E quando lo apri il giorno dei tuoi quarant’anni, capisci che non è un regalo a caso: è un invito a crescere ancora.
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