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Il congedo eterno di Papa Francesco

di Francesco Carbone


Papa Francesco

Un uomo del popolo, anche nella morte.


31 marzo 2025.Una data che non dimenticheremo. È il giorno in cui Papa Francesco ha lasciato questo mondo, senza clamore, senza luci puntate. Come ha vissuto, così se n’è andato: in punta di piedi, quasi chiedendo permesso. E non è un modo di dire. Ha atteso con discrezione anche il giorno dopo la Pasqua, come a non voler “rubare la scena” a Nostro Signore. Persino nel suo addio terreno, ha saputo fare un passo indietro, come solo i grandi sanno fare.


Mi ha colpito profondamente la sua capacità di salutare i fedeli fino all’ultimo, con il poco fiato rimasto. Un addio che è stato una carezza, un sorriso appena accennato, uno sguardo pieno d’amore. Se n’è andato sul “campo”, come un pastore che non abbandona mai il suo gregge, nemmeno nella notte più buia.


E mentre leggevo le reazioni alla sua scomparsa, ho sorriso con un pizzico di ironia: si chiamava Francesco, proprio come me. Un nome che è già una dichiarazione d’intenti. Ispirato a San Francesco d’Assisi, come lui ha scelto di pensare sempre agli ultimi, agli invisibili, ai dimenticati. Un nome, un destino? Forse sì. Forse ci sono nomi che portano dentro un richiamo, una vocazione, un modo di vivere il mondo. E lui ha saputo incarnare in modo straordinario la forza dell’umiltà. Non ha mai avuto bisogno di apparire per essere. Non ha mai alzato la voce per farsi sentire. Ma ha lasciato un’eco che durerà nel tempo.


Mi è tornato alla mente un ricordo, un altro addio, che mi ha segnato: quello a Papa Giovanni Paolo II, vent’anni fa esatti. Era il 2 aprile 2005. Avevo 19 anni, ero un giovane militare in servizio ai seggi elettorali in Veneto. C’era un clima surreale: le elezioni regionali, l’allarme Unabomber, e poi… quella notizia. Il Papa, il nostro Papa, si era spento. Quel giorno portava con sé una miscela di dovere, tensione, e una tristezza profonda.


“Quando muore un Papa, si ferma tutto.” Anche ieri, con Papa Francesco, qualcosa si è fermato. Ma con dolcezza. Senza rumore.


In queste ore, tra i tanti virgolettati di persone autorevoli, mi ha colpito in particolar modo una frase di Vittorio Sgarbi, che non sempre è facile da seguire, ma stavolta ha colpito nel profondo:


“Andarsene il giorno dopo la Resurrezione vuol dire restare, legare il proprio destino a quello di Cristo, in presenza e in assenza.”

Parole che restituiscono tutta la profondità simbolica di questo congedo. E allora oggi, che siamo ancora scossi e pieni di emozione, vorrei lasciarvi con alcune domande, come invito a riflettere insieme:


Cosa ti ha colpito di più di Papa Francesco? Cosa porterai con te del suo pontificato? Hai mai avuto la sensazione che parlasse proprio a te, con quella voce rotta ma piena di tenerezza?

Per me, resterà l’immagine di un uomo che ha reso immensa la piccolezza. Un Papa che ha fatto dell’umiltà il suo scettro, del silenzio la sua voce, della povertà la sua vera ricchezza.


Grazie, Santo Padre. Grazie, Papa Francesco. Ci hai ricordato che per essere grandi… bisogna sapersi fare piccoli.

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