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Paolo Mendico e il silenzio che non deve più ripetersi


in ricordo di paolo mendico

Quante volte ancora dovremo piangere un giovane spezzato dalla crudeltà dei suoi coetanei? Quante altre tragedie dovranno scuoterci prima che scuole, famiglie e istituzioni prendano sul serio la gravità di questi episodi? 


L’ennesima morte, quella di Paolo Mendico, non è solo una storia di dolore, è un’accusa che pesa su tutti noi questa vicenda lascia un segno indelebile, un grido che non possiamo ignorare.

Un giovane che ha deciso di compiere un gesto estremo a causa di ciò che ha subito tra i banchi di scuola: una tragedia che chiama tutti noi, adulti, educatori e genitori, a una riflessione profonda.


C’è un paradosso che brucia e che non possiamo ignorare. Dall’altra parte del mondo, milioni di bambini sognano una scuola, dei banchi, una struttura che li accolga. Alcuni sono impediti dalla guerra, altri dalla fame, dalla povertà, dalla mancanza di infrastrutture. Qui da noi, dove abbiamo grosso modo tutto a portata di mano, un giovane compie un gesto così estremo perché quell’opportunità di studio, che lo Stato gli garantisce, si trasforma in un ambiente avvelenato da bullismo e umiliazioni. Non è accettabile.


I ragazzi che hanno inferto quelle ferite, forse senza piena coscienza, oggi avranno imparato una lezione durissima, pagata a un prezzo incalcolabile. Ma soprattutto, Paolo non potrà tornare indietro a perdonarli. Ed è proprio questo che rende la sua storia un monito: non deve restare un episodio isolato, dimenticato come tanti altri. Va trasformata in insegnamento, in responsabilità collettiva.


Da docente, abituato a confrontarmi con studenti di tutte le età – dal ventenne che si affaccia al mondo del lavoro al cinquantenne che si reinventa dopo la crisi di un settore – vedo ogni giorno che la vera forza di una classe non sta solo nelle nozioni acquisite, ma nella capacità di crescere insieme. Quando ci si sostiene reciprocamente, le differenze si trasformano in ricchezza, non in motivo di esclusione e di bullismo!


Ecco perché l’appello che sento di rivolgere ai miei colleghi è chiaro: prima ancora di insegnare le tabelline, o di spiegare una poesia di Ungaretti o di Foscolo, bisogna educare al rispetto reciproco. A far capire ai ragazzi che sono uguali l’uno all’altro, che devono imparare a convivere e a riconoscere la dignità di chi hanno accanto.


Il ruolo delle famiglie è centrale: l’80% della vita dei bambini si svolge a casa. Ma la scuola rimane un presidio insostituibile, il luogo in cui questi episodi non possono e non devono passare inosservati. Ai dirigenti, agli insegnanti di ogni ordine e grado, dico che la vigilanza educativa è la prima responsabilità: più importante di un voto in pagella, più urgente di un programma ministeriale.


Se davvero vogliamo onorare la memoria di Paolo, dobbiamo trasformare questa tragedia in un’occasione di cambiamento culturale. Perché il silenzio, l’indifferenza e la superficialità sono complici di ciò che non deve più accadere.


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