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Gommisti sotto assedio e la politica gira intorno al problema

di Francesco Carbone



gomme usauste

Ci sono emergenze silenziose, che non fanno rumore come un’alluvione o un blackout, ma che ogni giorno rallentano, soffocano e spesso paralizzano il lavoro di migliaia di piccole imprese italiane. È quello che sta succedendo ai gommisti e alle officine meccaniche, costrette da mesi a convivere con cumuli di pneumatici fuori uso accatastati nei propri piazzali, in attesa di un ritiro che non arriva. Ma non per colpa loro: il vero responsabile è un sistema bloccato, burocratico, lontano dalla realtà, che promette sostenibilità e invece produce solo immobilismo.


L’interrogazione presentata nelle scorse settimane dall’On. Maria Chiara Gadda (Italia Viva), parlamentare della provincia di Varese, ha il merito di portare l’attenzione su una difficoltà reale. Ma lo fa in modo parziale ed incompleto. Si limita a parlare di lentezza nei ritiri. Un'osservazione corretta, certo. Ma non sufficiente.

Perché i ritiri sono lenti? Perché i consorzi non raccolgono? La risposta è nel cuore stesso del sistema normativo attuale: ogni consorzio può smaltire solo una quantità di pneumatici fuori uso (PFU) pari a quelli immessi sul mercato nell’anno precedente. Nessuna elasticità. Nessuna possibilità di deroga. Nessuna attenzione alle emergenze locali. Superato quel limite? Le gomme restano nei cortili. E il gommista paga due volte: con il suo spazio e con i suoi soldi.


Ciò che manca è la volontà di chiamare le cose con il loro nome. Il sistema del "target fisso" è obsoleto. La tecnologia del riciclo meccanico è utile, ma insufficiente. La burocrazia ambientale ha finito per produrre danni ambientali. E la sostenibilità, quella vera, rimane chiusa nei convegni.

Ma allora, quali soluzioni?


Primo: riconoscere che il problema è annoso, e va risolto con una riforma strutturale. Non con deroghe tampone o con interrogazioni generiche.Secondo: aggiornare il Registro PFU trasformandolo da archivio passivo a strumento operativo. Un sistema digitale capace di rilevare giacenze in tempo reale, attivare ritiri straordinari, monitorare flussi in modo trasparente.Terzo: incentivare il riciclo evoluto, investendo in impianti di pirolisi, devulcanizzazione e recupero ad alto valore aggiunto. Tecnologie che permettono di reimmettere carbon black, gomma e oli rigenerati nel ciclo produttivo, riducendo l’impatto ambientale ed economico.


Non parliamo di utopia. Parliamo di scelte possibili, già adottate in altri Paesi. Parliamo di concretezza.

Ecco perché, con fiducia e spirito costruttivo, ci rivolgiamo al Governo guidato da Giorgia Meloni, che ha già dimostrato di saper affrontare le sfide con determinazione. Il Ministro dell’Ambiente ha ora l’occasione di correggere un meccanismo inefficiente, restituendo dignità e respiro a migliaia di imprese che ogni giorno garantiscono sicurezza, lavoro e legalità nei nostri territori.


La questione PFU non riguarda solo l’ambiente. Riguarda la libertà di lavorare, la giustizia tra chi rispetta le regole e chi no, la credibilità di un sistema che vuole dirsi sostenibile.


Vogliamo davvero continuare a far finta che il problema sia la lentezza nei ritiri? Oppure vogliamo affrontare finalmente la causa vera del disservizio, ascoltare chi lavora sul campo e dare una risposta che sia degna di un Paese moderno?


Io ho scelto la seconda strada. E continuo a camminare in quella direzione. A fianco delle officine, dei gommisti, degli artigiani. Con chi lavora. Con chi tiene in piedi l’Italia, anche quando lo Stato rallenta.


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