Il conflitto in Ucraina sta alla transizione energetica come la pandemia è stata alla transizione digitale, ovvero un formidabile acceleratore. Fino a pochi mesi fa, il cambiamento climatico era la priorità di ogni agenda politica ed in qualsiasi livello. Il conflitto bellico in corso, non ha solo distratto il mondo, sta causando anche un’inversione di tendenza degli accordi internazionali sull’ambiente.
L’invasione Russa dell’Ucraina, ha trasformato gli scenari geopolitici ed economici, ha generato delle grandi incognite sull’approvvigionamento futuro del gas e petrolio. In particolare per l’Europa e per l’Italia, che importava circa il 40% del gas naturale necessario dalla Russia prima dell’inizio del conflitto.
Ad essere messo in discussione è l’intero fabbisogno energetico dell’Occidente, alle prese con l’aumento del costo delle materie, principale causa del caro bollette e dei rincari dei carburanti. Sicuramente nel medio e lungo periodo questo conflitto, porterà progressi tecnologici e ottimizzazioni dei processi di produzione dell’energia, ma nel breve periodo darà un enorme freno alla crescita.
Sotto i nostri piedi ci sono circa 32.000 km di metanodotti. Il gas, che entra dalle porte, passa in questi tubi, per poi ramificarsi nelle varie reti per arrivare infine nelle nostre case, nelle industrie e nelle centrali termoelettriche. L’Italia importa dall’estero circa il 90% del gas naturale che utilizziamo e lo fa passare attraverso delle porte distribuite in diversi punti della Nazione. La maggior parte di queste porte permettono l’entrata di gas allo stato aeriforme, attraverso i metanodotti. Altre invece, come quelle di Panigaglia, Livorno e Rovigo fanno entrare il combustibile allo stato liquido a -162°C il cosiddetto GNL – Gas Naturale Liquefatto trasportato da navi metaniere.
Prima di essere immesso nei tubi, il gas passa attraverso i cosiddetti terminali di rigassificazione che lo trasformano da liquido a gassoso. Siccome di questi tempi l’esigenza di ridurre la dipendenza dal gas russo si fa sempre più pressante, Palazzo Chigi punta ad aumentare la capacità di rigassificazione del paese, attraverso l’acquisto di due nuovi impianti galleggianti e la creazione di due nuovi impianti a terra. In base al nuovo piano di ampliamento dei rigassificatori, il governo intende installare due nuove navi al largo di Ravenna e di Piombino. Proprio la vicinanza di quest’ultima a Livorno ha scatenato le proteste della cittadinanza, insieme ai problemi legati al suo impatto ambientale. La presenza nel porto di Piombino della Golar Tundra, uno scarico giornaliero in mare di 50 chilogrammi di cloro, il cui impatto ambientale sull’ecosistema marino non è ancora chiaro.
Il progetto, nonostante le proteste, ha già ricevuto l’autorizzazione e dovrebbe restare nel porto per tre anni, per poi essere spostato altrove. Oltre alle due navi, il governo intende creare due nuovi rigassificatori a terra. Il primo a Porto Empedocle, nella provincia siciliana di Agrigento. Il progetto, gestito dal gruppo Enel era stato fermato circa sette anni fa, ma il finanziamento per la sua realizzazione è stato sbloccato ad aprile 2022. Inoltre, a fine marzo è stato anche approvato il progetto per un nuovo rigassificatore a terra a Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, gestito da Sorgenia e Iren.
E’ in atto insomma l’ennesima miopia politica e come spesso accade a pagarne il prezzo è l’ambiente e la salute dell’uomo.
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