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Occupazione e prospettive – Le opportunità di per la “Boomer generation” e i “Millennials”

Aggiornamento: 20 set 2024


Ascoltando chi cerca lavoro, analizzando le statistiche e confrontandomi con i miei colleghi imprenditori, si capisce che nonostante gli ultimi decenni di politiche attive sul lavoro, persiste la “lussazione” fra l’ossatura della domanda e l’articolazione dell’offerta del mercato del lavoro. Oggi non sono i soldi e la sicurezza i fattori che rendono accattivante un posto di lavoro, i lavoratori non cercano solo un buon posto ma anche l’innovazione! Intervistando le imprese però, sembra proprio che manchino gli operatori specializzati con delle reali competenze e qualità professionali. Pare anche che la maggior parte dei disoccupati non siano adatti al lavoro oppure non sono in grado di mantenerlo nel tempo, perché si dimostrano disinteressati all’aggiornamento delle proprie competenze.


Possiamo affermare quindi che “il posto c’è, ma non si trova la gente giusta”.


Premetto che il contesto è abbastanza complesso, per cui cerchiamo di fare un ragionamento a tuttotondo. Per prima cosa, le imprese fanno fatica a trovare personale giovane con cui rigenerare le graduali uscite dei pensionamenti, esiste quindi una difficoltà oggettiva nell’ottenere un incontro efficace fra domanda e offerta, purtroppo la situazione è così da troppi anni.

Non si può lasciare fuori dal ragionamento il fatto che il costo del lavoro non accenna a scendere e per

ora non si intravede nessuna soluzione nel risolvere il problema del cuneo fiscale.

Nell’ultimo periodo si stà sviluppando sempre più un nuovo fenomeno, probabilmente accentuato dopo il periodo di pandemia, la cosiddetta Great Resignation, la quale prevede un vero e proprio abbandono volontario del posto di lavoro, senza avere nessuna alternativa professionale certa. Se questo fenomeno dovesse incrementare anche nel nostro paese, seguendo il trend che si stà osservando nel resto dei paesi occidentali, porterebbe sicuramente un’ondata di cambiamento nelle nostre imprese, al fine di renderle più attrattive e competitive, non solo sul mercato ma anche verso la propria forza lavoro o aspiranti tali.


La mia impressione è che i tasti da premere per rimettere in moto il sistema della competitività siano

molti la maggioranza intangibili, sia dal lato dell’offerta e sia dal lato della domanda perché la complessità è data da fattori diversi, come la volatilità di entrare e uscire velocemente da contesti e settori differenti. Nel settore manifatturiero ad esempio, c’è una difficoltà oggettiva nel trattenere il personale, perché spesso gli stabilimenti si trovano in provincia, mentre per le persone oggi è fondamentale vivere nelle grandi città. Lavorare nel settore di artigiano da bottega per i giovani non è

considerato abbastanza appagante sotto il profilo dell’immagine.

In ultimo ma non per importanza, bisogna capire meglio il rapporto tra il talento e l’attitudine. Questi due “elementi” pur essendo direttamente proporzionali fra loro, presentano delle sostanziali differenze: l’attitudine non è nient’altro che l’impegno prolungato e costante del proprio talento, mettendolo in pratica costantemente ed instancabilmente.

Vorrei rimarcare un concetto a me molto caro: le skill veramente indispensabili per i lavoratori del millennio devono essere: doti gestionali e organizzative, capacità di analisi, attitudine al problem solving, predisposizione al lavoro in team e una propensione al continuo aggiornamento.


Ma oggi sembra mancare prima di tutto l’impegno costante nello sviluppare il proprio talento!


Se si pensa che già nel 2020 la commissione europea ha individuato basi e linee guida di quella che già

viene indicata come la “quinta rivoluzione industriale”, un’accelerazione in tal senso diviene ancor più

fondamentale.

Tale approccio implicherà il superamento del concetto su cui si fonda l’Industria 4.0, un’idea di

integrazione della relazione uomo-macchina efficientando ancor di più la produzione, rendendola più

sostenibile, più veloce e di conseguenza anche più economica. Questa “quinta rivoluzione” metterà al

centro del processo produttivo il lavoratore, inteso più come umano e cittadino, favorendo la prosperità e la crescita, rispettando il pianeta e ponendo il benessere del lavoratore come punto cardine.



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